Il viaggio di Dante Alighieri

Immaginarci nei panni di un viaggiatore del Trecento non è difficile, se consideriamo il testo poetico di Dante e se consideriamo un altro tipo di viaggio, quello nell’Oltretomba e all’interno di se stessi. In realtà il lettore non si sposta molto dalla città di Firenze, leggendo la Commedia perché il capoluogo toscano è considerato qui l’ombelico del mondo. L’anno un cui comincia questo viaggio è il 1300, anno del primo Giubileo della storia, anno il cui attore principale è Bonifacio VIII, “tal che testè piaggia”: il poeta risponde all’ appello del pontefice e nella settimana santa di questo anno santo fa un viaggio che non coinvolge solo se stesso ma tutti coloro che lo leggono da 700 anni. Dante ci porterà con se nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso…ma non saremo soli, avremo due presenze costanti, compagni di viaggio e guide spirituali, Virgilio e Beatrice, colei che sarà la fonte ispiratrice per l’immensa opera dantesca.

INFERNO

I canto

È la notte del venerdì santo del 1300, anno del Giubileo. Dante, immerso in un sonno profondo, si trova sperduto in una selva oscura (allegoricamente essa rappresenta il peccato in cui si smarrisce facilmente l’anima umana). È così intricata che egli non riesce a trovare la via della salvezza. Si sente perciò invadere da un senso di grande smarrimento. Sconvolto dall’angoscia e dalla paura, arriva ai piedi di un colle illuminato dal sole (simbolo della Grazia). A quella vista, si sente rincuorato e incomincia a salire il pendio quando, all'improvviso, si vede sbarrato il cammino da tre fiere: una lonza, un leone e una lupa (simboleggiano tre grossi vizi dai quali non è facile liberarsi: la lussuria, la superbia e l’avarizia) che lo fanno retrocedere verso il basso. Ma in suo soccorso, ecco apparire l’ombra di un uomo: è Virgilio, il poeta latino che gli era tanto caro (simbolo della ragione umana). Dante lo prega di salvarlo e il grande poeta latino, per evitare la lupa famelica, l’avarizia, peccato che ha corrotto la società intera, lo esorta a seguire un altro percorso. Non basta l’intenzione di liberarsi dal peccato: per salvarsi, occorre conoscere più a fondo le radici del bene e del male. Perciò, in attesa che arrivi il «veltro» a uccidere la lupa, sarà bene che lo segua: gli farà da guida e gli mostrerà le pene dell’Inferno e le gioiose espiazioni delle anime del Purgatorio destinate a salire in Paradiso. Se poi vorrà vedere i beati, gli farà da guida un’anima più degna di lui (Beatrice che simboleggia la Grazia) poiché Dio non vuole che egli, pagano, varchi la porta del Cielo. Rinfrancato da queste parole di Virgilio, Dante dice che è pronto a seguirlo e comincia così quel percorso che lo condurrà alla salvezza, alla purificazione intellettuale e morale in un viaggio nel regno dei morti che rappresenta tutta la società sviata e corrotta.

III canto

Virgilio e Dante si trovano di fronte alla porta dell'inferno, che nella parte superiore porta incisa la famosa scritta conclusa con la sentenza "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate". Entrambi attraversano l'uscio penetrando così nel mondo infernale. L'ambiente è buio, e si sentono subito pianti, lamenti e grida dei dannati. Quell'anticamera dell'inferno accoglie gli ignavi, coloro che vissero senza prendere mai una posizione, né buona né cattiva, inutili a sé stessi ed alla società. Tra le anime dannate si trovano anche gli angeli che nella guerra tra Dio e Lucifero non si schierarono né dall'una né dall'altra parte.

V canto

Gli ignavi si lamentano della loro sorte perché trascurati da tutti con disprezzo per non aver lasciato in vita nessun ricordo di sé. La pena degli ignavi è avvilente e spregevole: sono continuamente punzecchiati da mosconi e vespe, in un fango putrido, così da versare ora inutilmente (sono solo cibo per vermi) quelle lacrime e quel sangue che in vita non furono in grado di versare. Sono anche costretti ad inseguire una insegna che cambia rapidamente posizione in ogni momento. Tra le anime Dante riesce a vedere quella di Celestino V, colui che per vigliaccheria aveva ceduto alla carica papale lasciando il posto a Bonifacio VIII, che il poeta ritiene responsabile del male di Firenze e del suo esilio. Questo papa voleva che la chiesa avesse anche il potere temporale. Proseguendo nel loro cammino i due poeti giungono sulla riva del fiume Acheronte dove un'immensa schiera di anime è pronta per essere traghettata sull'altra sponda da Caronte. Il nocchiero svolge il suo compito senza parlare: ordina alle anime di salire sulla barca facendo loro dei cenni, e, se qualcuna mostra di voler indugiare, la percuote col remo. Caronte, accortosi che Dante è ancora in vita, lo ammonisce a tornarsene sui suoi passi, ma Virgilio lo costringe al silenzio rivelandogli che il viaggio del suo discepolo si compie per volere del cielo. Improvvisamente la terra trema, e, mentre un lampo di luce rossa squarcia le tenebre, Dante perde i sensi.

Il secondo cerchio e Minosse

Dante giunge nel secondo cerchio all'ingresso del quale è posto Minosse, giudice infernale, che, dopo aver ascoltato dai dannati la confessione delle loro colpe, attribuisce a ciascuno il luogo di pena meritato attorcigliando la sua coda attorno al corpo tante volte quanti sono i cerchi che i dannati dovranno scendere per ricevere la loro punizione. Accortosi della presenza di Dante, Minosse tenta di intimidirlo, ma, a difesa del poeta, interviene con forza Virgilio, tacitando il rabbioso demone con la recisa affermazione che il viaggio ultraterreno di Dante avviene per esplicita volontà di Dio.

I lussuriosi

Le anime di questo cerchio, i lussuriosi, sono condannate a essere incessantemente travolte da una vorticosa bufera di vento, perché in vita sottomisero la ragione all'impeto dei sensi. Virgilio indica al suo discepolo alcuni fra i più celebri amanti di ogni tempo, da Semiramide a Elena di Troia, da Cleopatra a Tristano.

Francesca e Paolo

Colpito dall'immagine di due anime che procedono insieme, Dante chiede e ottiene dalla sua guida di poter parlare con loro. Le anime escono dalla schiera dei dannati e gli si avvicinano rapide e leggere come colombe che volano verso il nido. Si tratta dì Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, gli infelici cognati che, complice la lettura della storia d'amore tra la regina Ginevra e Lancillotto del Lago, furono travolti da una violenta passione che fu la causa della loro morte.

VI canto

Il terzo cerchi: fra i golosi

Riprendendo coscienza dopo lo svenimento per la vicenda Paola e Francesca, Dante si accorge di essere nel terzo cerchio. La colpa dei dannati, in vita, è quella di aver amato troppo i cibi raffinati e ora sono martellati da un'incessante pioggia fetida, mista a grossa grandine e neve, e urlano di dolore con la testa nel fango puzzolente.

Cerbero

Custode del terzo cerchio è Cerbero, demone a tre teste dagli occhi rossi. Egli altra furioso e scortica e scuoia con le unghie gli infelici dannati. Vedendo i due poeti, il mostro ringhia paurosamente contro di loro, mostrando i denti. Virgilio si china, afferra una manciata di fango e la getta nelle bocche spalancate del mostro, che si zittisce.

Ciacco

Dante e Virgilio non possono fare a meno di camminare sopra i dannati che giacciono distesi nel fango, percossi dalla pioggia. Uno di essi, levatosi a sedere al passaggio dei poeti, rivolge la parola a Dante, chiedendogli se lo riconosca. Ricevuta risposta negativa, dice di essere nato a Firenze, città piena d'invidia, di chiamarsi Ciacco e di essere stato condannato a scontare in quel luogo i peccati della gola.

La profezia di Ciacco

Mostrandosi addolorato per la sorte di Ciacco, Dante gli domanda quale sarà il futuro di Firenze, tormentata dalle lotte tra le fazioni, quali siano le ragioni di tali discordie e se tra i fiorentini esista qualche uomo giusto. Ciacco profetizza allora che la lotta fra Bianchi e Neri si concluderà con la vittoria finale dei Neri attraverso l'aiuto del papa Bonifacio VIII. Pochissimi sono gli uomini giusti e restano inascoltati perché Firenze brucia ormai di superbia, invidia e avarizia. Dante chiede ancora se Farinata, il Tegghiaio, Jacopo Rusticucci, Arrigo, il Mosca e altri ragguardevoli fiorentini gustino le gioie del Paradiso o soffrano le pene dell'Inferno, venendo a sapere che tutti sono dannati e che potrà incontrarli nei cerchi più bassi.

Le pene dei dannati dopo il giudizio.

Finito questo, Ciacco si sdraia nel fango e Virgilio spiega che non si alzerà mai più da lì fino al giorno del Giudizio Universale. Dante domanda a Virgilio, se dopo la sentenza finale, i tormenti delle anime, aumenteranno o diminuiranno e Virgilio gli conferma che le pene dei dannati aumenteranno.

X canto

Le tombe degli epicurei

Dante chiede se sia possibile vedere le anime che giacciono nelle tombe scoperchiate e Virgilio risponde che esse, luogo di pena degli epicurei saranno chiuse il giorno del Giudizio universale.

Farinata degli Uberti

Improvvisamente una voce si rivolge all'indirizzo di Dante: è quella di un un dannato che riconosce dall'accento Dante come concittadino e lo invita a fermarsi; il poeta si accosta impaurito a Virgilio, che lo esorta piuttosto a guardare Farinata (perché del grande ghibellino si tratta). Farinata, visibile dalla cintola in su, ritto nel sepolcro, fissa sdegnoso Dante e, dopo avergli chiesto chi siano i suoi antenati, ricorda che (gli Alighieri) furono suoi fieri avversari e che per due volte li sbaragliò e li disperse. Dante controbatte affermando che entrambe le volte essi ritornarono in Firenze, e vi rimasero definitivamente , a differenza dei Farinata che ancora oggi non possono entrare in città.

Cavalcante Cavalcanti

All'improvviso, dalla tomba scoperchiata, si leva un'anima che chiede perché suo figlio, Guido Cavalcanti, non sia con lui. Il poeta, riconosciuto il padre dell'amico, risponde di essere li non in virtù dei propri meriti, ma della Grazia divina, della quale Guido non ha tenuto conto. Cavalcanti, credendo di cogliere nelle parole di Dante l'accenno alla morte del figlio, si lascia ricadere supino dentro la tomba, disperato.

La profezia di Farinata

Ma Farinata, senza mostrare segni di turbamento, riprende il discorso politico, profetizzando a Dante l'esilio. Aggiunge inoltre che, pur fra la violenza delle lotte civili, egli solo, dopo la vittoria di Montaperti, si oppose alla distruzione di Firenze. Prima di congedarsi dal magnanimo ghibellino, Dante gli chiede se i dannati conoscano il futuro e se ignorino il presente.

I compagni di Pena di Farinata

Farinata risponde che, come i presbiti, hanno solamente la visione degli avvenimenti lontani. Dante allora lo prega di riferire a Cavalcanti che il figlio Guido è ancora vivo. Chiede infine chi siano i suoi compagni di pena ed egli nomina Federico II e il cardinale Ottaviano degli Ubaldini.

XIII canto

Nel bosco dei suicidi: le Arpie

Passato a guado il Flegetonte, Dante e Virgilio giungono nel secondo girone del settimo cerchio e si addentrano in un fitto e tetro bosco, privo di sentieri. Gli alberi sono nodosi, contorti e sprovvisti di foglie. Sui loro rami nidificano le Arpie, i mitici mostri dell'antichità greca. Inoltrandosi, Dante ha l'impressione di udire voci di persone nascoste dietro gli alberi, ma ben presto spezzando, su invito di Virgilio, un ramoscello, dal quale sgorga sangue misto a lamenti, conosce la verità: si tratta di anime di dannati, imprigionate eternamente nelle piante.

Pier della Vigna

Virgilio invita a parlare la pianta ancora sofferente ed essa racconta la sua vicenda terrena, con la speranza che Dante, ritornando nel mondo dei vivi, renda giustizia alla sua memoria. L'anima è quella di Pier della Vigna, il più ascoltato consigliere di Federico II di Svevia. Vittima dell'invidia, l'illustre cortigiano cadde in disgrazia presso l'imperatore al punto che, sapendosi innocente, incapace di sottrarsi alla vergogna delle accuse che gli venivano rivolte, si uccise.

Il destino dei suicidi

Le parole del dannato turbano profondamente Dante che, da un'ulteriore risposta, apprende come l'anima dei suicidi divenga pianta nodosa e che perfino dopo il Giudizio Universale essi saranno i soli a non rientrare nel proprio corpo: il corpo di ciascuna anima penzolerà dall'albero che la racchiude (per analogia non sono degni di avere il loro corpo).

Gli scialacquatori

Improvvisamente, annunciate da un confuso rumore, appaiono le anime nude e graffiate di due dannati (Lano da Siena e Iacopo da Sant’Andrea) che corrono inseguite da un branco di cagne fameliche. Per sfuggire alla caccia, una di esse si acquatta in un cespuglio della selva, ma, raggiunta, viene orrendamente dilaniata, mentre dai rami spezzati del malcapitato cespuglio sgorga il sangue misto a dolorosi lamenti. È questa la punizione riservata agli scialacquatori, che in vita fecero strazio del proprio patrimonio.

XXVI canto

Invettiva contro Firenze

Prima di risalire dalla settima bolgia, Dante pronuncia un'invettiva contro Firenze, rimproverando la cattiva fama che la contraddistingue nel mondo; infatti ne ha abbastanza dei suoi cittadini.

Nell'ottava bolgia: tra i consiglieri di frode

Dal ponte dell'ottava bolgia, in cui scontano la propria pena i consiglieri di frode, il poeta vede un'immensa distesa brulicante di lingue di fuoco, ognuna delle quali avvolge e nasconde l'anima di un dannato. L'attenzione di Dante è attratta da una fiamma che avanza divisa in due nella sua parte superiore.

Ulisse e Diomede

Da Virgilio apprende di essere di fronte a Ulisse e Diomede, puniti insieme per gli innumerevoli inganni orditi, tra cui quello perpetrato ai danni dei Troiani con il famoso cavallo di legno. Prega allora vivamente la sua guida di poter parlare con loro. Atteso il momento favorevole, Virgilio si rivolge alla fiamma biforcuta, chiedendo ad ambedue le anime di raccontare la loro fine.

Il racconto di Ulisse

La punta maggiore della fiamma, che racchiude l'anima di Ulisse, narra che, dopo la partenza dalla terra di Circe, né la dolcezza per il figlio né la pietà per il padre, né l'amore per la moglie riuscirono a vincere il suo desiderio di conoscere il mondo e gli uomini. Salpò allora con un piccolo ma fedele equipaggio. Viaggiò per il Mediterraneo e giunse fino alle Colonne d'Ercole, il confine oltre il quale l'uomo non doveva spingersi.

Il folle volo dell'eroe

Ulisse però volle proseguire: esortati i compagni, rivolse la prua verso occidente, oltre le Colonne d'Ercole. Dopo cinque mesi di navigazione, avvistò la montagna del Purgatorio. L'equipaggio si rallegrò, ma presto l'allegria si convertì in pianto perché dalla montagna ebbe origine un vortice che, dopo aver fatto girare la nave su se stessa per tre volte, la fece inabissare e il mare vi si richiuse sopra.

XXXII canto

Nella Caina: fra i traditori dei parenti

Dopo aver invocato l'aiuto delle Muse perché lo assistano nel difficile compito di descrivere compiutamente in poesia l'ultima e più terribile parte dell'Inferno, Dante racconta dei dannati della Caina, la prima zona del cerchio nono, in cui scontano la loro pena i traditori dei parenti. Dante scopre di trovarsi su un lago ghiacciato, il Cocito, nel quale le anime sono immerse fino al collo e tengono la testa, che fuoriesce dal ghiaccio, rivolta all'ingiù. Il freddo fa battere loro i denti e gli occhi sono gonfi di lacrime.

Napoleone e Alessandro Alberti

Dante domanda chi siano due dannati quasi attaccati l'un l'altro e viene a sapere che il ghiaccio ha serrato loro la bocca; Camicione de' Pazzi, un'anima vicina, li informa che si tratta di Napoleone e Alessandro Alberti, signori della valle del Bisenzio, condannati al ghiaccio della Caina.

Nell'Antenora: fra i traditori della patria

D'un tratto Dante, tremante dal freddo, calpesta involontariamente il volto di un dannato che gli chiede piangente se sia venuto ad aumentare la sua pena per il suo tradimento durante la battaglia di Montaperti. Mentre Dante cerca di estorcere il nome del dannato, un'anima vicina glielo urla: Bocca. Vedendosi scoperto, Bocca degli Abati rivela che il suo delatore è Buoso da Dovera, signore di Cremona, e che giacciono nell'Antenora, insieme ad altri personaggi, per aver tradito la patria.

Ugolino e Ruggieri

Allontanatosi con Virgilio, Dante vede infine un dannato che rode il capo a un altro. Inorridito, il poeta gli chiede il motivo del suo accanimento bestiale nei confronti del compagno di pena.

PURGATORIO

I canto

Dante e Virgilio arrivano sulla spiaggia del Purgatorio. Dante vede le quattro stelle. Apparizione di Catone Uticense. Virgilio prega Catone di ammettere Dante al Purgatorio, poi cinge il discepolo col giunco. È la mattina di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300, all'alba. La nave dell'ingegno di Dante si appresta a lasciare il mare crudele dell'Inferno e a percorrere acque migliori, poiché il poeta sta per cantare del secondo regno dell'Oltretomba (il Purgatorio) in cui l'anima umana si purifica e diventa degna di salire al cielo. Non appena Dante distoglie lo sguardo dalle stelle, vede accanto a sé un vecchio (Catone) dall'aspetto molto autorevole. Ha la barba lunga e brizzolata, come i suoi capelli dei quali due lunghe trecce ricadono sul petto. La luce delle quattro stelle illumina il suo volto, tanto che Dante lo vede come se fosse di fronte al sole. Il vecchio si rivolge subito ai due poeti chiedendo chi essi siano, scambiandoli per due dannati che risalendo il corso del fiume sotterraneo sono fuggiti dall'Inferno. Chiede chi li abbia guidati fin lì, facendoli uscire dalle profondità della Terra, domandandosi se le leggi infernali siano prive di valore o se in Cielo sia stato deciso che i dannati possono accedere al Purgatorio. A questo punto Virgilio afferra Dante e lo induce a inchinarsi di fronte a Catone, abbassando lo sguardo in segno di deferenza. Quindi il poeta latino risponde di non essere venuto lì di sua iniziativa, ma di esserne stato incaricato da una beata (Beatrice) che gli aveva chiesto di soccorrere Dante e fargli da guida. Virgilio dice a Dante di seguire i suoi passi e lo invita a tornare indietro, lungo il pendio che da lì conduce alla parte bassa della spiaggia. È ormai quasi l'alba e sta facendo giorno, così che Dante può guardare in lontananza il tremolio della superficie del mare. Lui e Virgilio proseguono sulla spiaggia deserta, come qualcuno che finalmente torna alla strada che aveva perso: giungono in un punto in cui la rugiada è all'ombra e ancora non evapora.

II canto

Ancora sulla spiaggia del Purgatorio. Discorso di Virgilio sulla giustizia divina. Incontro con le anime dei contumaci. Colloquio con Manfredi di Svevia. È la mattina di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300, alle sette. Dopo i rimproveri di Catone e la fuga precipitosa delle anime verso la montagna, Dante si stringe a Virgilio, senza la cui guida fidata non potrebbe certo proseguire il viaggio. Dante vede all'improvviso che c'è solo la sua ombra sul terreno e non quella di Virgilio, quindi si volta a lato col terrore di essere abbandonato: il maestro ovviamente è lì e lo rimprovera perché continua a diffidare e non crede che sia accanto a lui per guidarlo. Virgilio spiega che il corpo mortale nel quale lui faceva ombra riposa a Napoli, dove fu traslato da Brindisi e dove adesso è già sera, quindi Dante non deve stupirsi che la sua anima non proietti un'ombra proprio come i cieli non fanno schermo al passaggio della luce. I due poeti intanto sono giunti ai piedi del monte: la parete è così ripida che è impossibile scalarla, Virgilio si ferma e si chiede da quale parte ci sia un accesso più facile al monte; e mentre lui riflette guardando a terra, e Dante osserva in alto la montagna, da sinistra appare un gruppo di anime che si muovono lentissime verso di loro. Dopo mille passi le anime sono ancora molto lontane, Dante proietta l'ombra e si arrestano, tirandosi indietro e inducendo le altre a fare lo stesso. Virgilio le rassicura dicendo che Dante è effettivamente vivo, ma non è certo contro il volere divino che egli cerca di scalare il monte. I penitenti fanno cenno con le mani di tornare indietro e procedere nella loro stessa direzione. Una delle anime si rivolge a Dante e lo invita a guardarlo, per capire se lo ha mai visto sulla Terra. Dopo che il poeta gli ha risposto di non averlo mai visto, il penitente gli mostra una piaga che gli attraversa la parte alta del petto, quindi si presenta come Manfredi di Svevia. Manfredi racconta che dopo essere stato colpito a morte nella battaglia di Benevento, piangendo si pentì dei suoi peccati e nonostante le sue colpe fossero gravissime fu perdonato dalla grazia divina.

IV canto

Ancora fra i morti per forza del secondo balzo dell'Antipurgatorio. Incontro con l'anima di Sordello da Goito. Invettiva contro l'Italia. Apostrofe contro Firenze. È il pomeriggio di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300, alle tre. Dante spiega che quando finisce il gioco della zara, il perdente resta solo e impara a sue spese come comportarsi nella prossima partita, mentre tutti si affollano intorno al vincitore, attirando la sua attenzione; quello non si ferma, ma si difende dalla calca dando retta a tutti e porgendo la mano all'uno e all'altro. Lo stesso fa il poeta attorniato dalle anime dei morti per forza, rivolgendosi ora a questo ora a quello, e si allontana promettendo. Non appena Dante riesce a liberarsi dalle anime che lo pressano, si rivolge a Virgilio e gli ricorda come in alcuni suoi versi egli nega alla preghiera il potere di piegare un decreto divino. Queste anime si augurano proprio questo, quindi Dante non sa se la loro speranza è vana, oppure se non ha capito bene ciò che Virgilio ha scritto. Dante invita il maestro ad affrettare il passo, essendo molto meno stanco di prima e osservando che il monte proietta già la sua ombra (è pomeriggio). Virgilio dice che procederanno fino alla fine del giorno, quanto più potranno, ma le cose stanno diversamente da come lui pensa. Prima di arrivare in cima, infatti, Dante vedrà il sole tramontare e poi risorgere. Virgilio indica a Dante un'anima che se ne sta in disparte e guarda verso di loro, che potrà indicare la via più rapida per salire. Virgilio si avvicina a lui e lo prega di indicargli il cammino migliore, ma quello non risponde alla domanda e gli chiede a sua volta chi essi siano e da dove vengano. Virgilio non fa in tempo a dire «Mantova...» che subito l'anima va ad abbracciarlo e si presenta come Sordello, originario della sua stessa terra.

VIII canto

Ancora nella valletta dei principi negligenti. Le anime intonano la preghiera della sera. Arrivo degli angeli armati di spada. Sordello conduce Dante e Virgilio nella valletta. Incontro con Nino Visconti. Arrivo del serpente, messo in fuga dagli angeli. Incontro con Corrado Malaspina. È la sera di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300, alle sette. È ormai il tramonto, l'ora in cui i viaggiatori sentono una stretta al cuore per la nostalgia di casa, specie quando ascoltano il suono delle campane che indica la Compieta. Sordello invita i due poeti a scendere nella valletta tra le ombre dei principi, per parlare con loro, cosa che sarà molto gradita alle anime. È quasi buio, ma ciò non impedisce a Dante di riconoscere in quel penitente il giudice Nino Visconti, che gli si fa incontro mentre lui si avvicina. Il Visconti chiede a Dante quando sia giunto sulla spiaggia del Purgatorio con la barca dell'angelo nocchiero: il poeta risponde di essere giunto lì attraverso l'Inferno e di essere ancora vivo, poiché compie questo viaggio per ottenere la salvezza.

IX canto

Ancora nella I Cornice. I superbi recitano il Pater noster. Virgilio chiede dove sia l'accesso alla Cornice successiva. Incontro con Omberto Aldobrandeschi. Colloquio con Oderisi da Gubbio. Oderisi indica l'anima di Provenzan Salvani e predice l'esilio a Dante. È la mattina di lunedì 11 aprile (o 28 marzo) del 1300, alle undici. I superbi invocano la pace di Dio, che essi non possono ottenere senza l'aiuto della grazia; gli uomini devono sacrificare la loro volontà a Dio, come fanno gli angeli. Se le anime del Purgatorio, riflette Dante, sono sempre pronte a pregare per i vivi, anche questi devono fare qualcosa per i morti, ovvero pregare a loro volta per aiutarli a purificarsi dei peccati e salire in Paradiso. Una delle anime risponde a Virgilio, anche se Dante non può vedere chi stia parlando, e dice che l'accesso percorribile da una persona viva è a destra, per cui i due poeti devono seguirli. Il penitente aggiunge che se il macigno che porta sulle spalle e punisce la sua superbia non lo costringesse a tenere il viso basso, alzerebbe gli occhi e guarderebbe Dante per capire se lo conosce e renderlo pietoso verso di sé. Egli è stato italiano e figlio di un grande toscano: il padre fu Guglielmo Aldobrandeschi e il suo nobile lignaggio, unito alle grandi opere dei suoi antenati, lo resero in vita così superbo da disprezzare tutti gli uomini e dimenticare che siamo tutti figli della stessa madre.

XVI canto

Il fumo della III Cornice. Incontro con gli iracondi. Incontro con Marco Lombardo. Discorso sul libero arbitrio e la confusione dei poteri. I tre vecchi simbolo di virtù. È il tardo pomeriggio di lunedì 11 aprile (o 28 marzo) del 1300, verso le sei. Dante e Virgilio avanzano lungo la III Cornice, che è costretto a chiuderli e ad appoggiarsi al maestro. Sente delle voci che invocano pace e misericordia, intonando le prime parole dell'Agnus Dei in modo tale che dimostrano un'assoluta concordia. Dante chiede a Virgilio se a parlare sono dei penitenti e il maestro risponde di sì, aggiungendo che si tratta degli iracondi. Uno dei penitenti si rivolge a Dante e gli chiede chi sia,e Dante dice allo spirito che ha parlato che, se lo seguirà, udirà qualcosa che lo stupirà molto. Il penitente dichiara che seguirà Dante fin tanto che potrà e se anche il fumo non gli permetterà di vederlo, il suono della voce li terrà uniti. Dante dice allo spirito che ha parlato che, se lo seguirà, udirà qualcosa che lo stupirà molto. Il penitente dichiara che seguirà Dante fin tanto che potrà e se anche il fumo non gli permetterà di vederlo, il suono della voce li terrà uniti al Paradiso.

PARADISO

I canto

Nel poeta si accende un fortissimo desiderio di conoscere l'origine del suono e della luce, per cui Beatrice, che legge nella sua mente ogni pensiero, si rivolge subito a lui per placare il suo animo. Beatrice ha risolto il primo dubbio di Dante, ma ora il poeta è tormentato da un altro e chiede alla donna come sia possibile che lui, dotato di un corpo mortale, stia salendo oltre l'aria e il fuoco. Dio risiede nell'Empireo come vuole la Provvidenza, e Dante e Beatrice si dirigono lì in quanto il loro istinto naturale li spinge verso il loro principio, che è Dio. Alla fine delle sue parole, Beatrice torna a fissare il Cielo. Beatrice spiega infatti che tutte le creature, razionali e non, fanno parte di un tutto armonico che è stato creato da Dio e ordinato in modo preciso, così che ogni cosa tende al suo fine attraverso strade diverse, come navi che giungono in porto solcando il gran mar de l'essere. È interessante inoltre che Beatrice usi per tre volte l'immagine del fuoco per spiegare il movimento di Dante, prima paragonandolo a un fulmine che corre verso la Terra , poi spiegando che il fuoco tende a salire verso il Cielo della Luna e infine paragonando il fulmine che cade in basso contro la sua natura a un uomo che, altrettanto forzatamente, è attratto verso i beni terreni. 37-42 è stata variamente interpretata dai commentatori, anche se probabilmente indica che è l'equinozio di primavera e il sole è in congiunzione con l'Ariete.

III canto

Piccarda spiega i gradi di beatitudine e l'inadempienza del voto. La donna lo invita a non stupirsi del fatto che lei rida al suo ingenuo pensiero e spiega che le figure che vede sono creature reali, relegate in questo Cielo per non aver rispettato il voto Rivela di essere posta lì con gli altri spiriti difettivi e di essere relegata nel Cielo più basso, quello della Luna, benché lei e gli altri gioiscano di partecipare all'ordine voluto da Dio. 1 il sole è naturalmente Beatrice, in quanto primo amore di Dante e luce in grado di chiarire i suoi dubbi in materia di fede. 13 le postille sono le immagini riflesse sull'acqua. 17-18 ricordano il mito di Narciso, che vedendo la propria immagine riflessa nell'acqua se ne innamorò credendola reale . La spera più tarda è il Cielo della Luna, che è il più vicino alla Terra e quello che ha minor raggio, quindi ruota più lento.

VI canto

Giustiniano si presenta a Dante. Presentazione di Romeo di Villanova. Giustiniano risponde alla prima domanda di Dante, spiegando che dopo che Costantino aveva portato l'aquila imperiale a Costantinopoli erano passati più di duecento anni, durante i quali l'uccello sacro era passato di mano in mano giungendo infine nelle sue. Giustiniano indica a Dante l'anima di Romeo di Villanova, che splende in questo stesso Cielo e la cui grande opera fu sgradita ai Provenzali, che tuttavia hanno pagato cara la loro ingratitudine nei suoi confronti. Da quel momento all'incoronazione di Giustiniano passarono meno di duecento anni , ma Dante segue probabilmente la cronologia di Brunetto Latini che nel Trésor indica le date del 333 e del 539, quindi con un intervallo di 206 anni. Il primo amor che ispirò a Giustiniano l'opera legislativa è lo Spirito Santo. 21 indica che Giustiniano vede le verità di fede chiaramente, come Dante vede che in un giudizio contraddittorio una frase è falsa e una è vera . La parola «fede» è ripetuta tre volte da Giustiniano. Nella lunga digressione sull'Impero il soggetto è quasi sempre l'aquila, simbolo dell'autorità imperiale. Secondo la tradizione cui si rifà Dante, questi quattro matrimoni regali furono tutti organizzati da Romeo di Villanova. L'espressione a frusto a frusto significa «a tozzo a tozzo» e allude al fatto che Romeo dovette mendicare il pane.

VIII canto

Protagonista assoluto del Canto è Carlo Martello, il primogenito di Carlo II d'Angiò che Dante conobbe giovanissimo a Firenze nel 1294 e al quale fu legato da affettuosa amicizia, per cui l'episodio si può accostare agli incontri con Casella, Nino Visconti e Forese Donati nel Purgatorio . L'incontro con Carlo Martello è diviso in due parti, che corrispondono all'autopresentazione del beato con le critiche rivolte al fratello Roberto e al discorso sulle inclinazioni individuali che si riallaccia a quello più ampio degli influssi astrali. Roberto viene criticato in quanto gretto e meschino, diversamente dalla liberalità dei suoi predecessori , per cui meglio farebbe a modificare la sua condotta se vuole evitare di danneggiare lo Stato e fare la stessa fine di Carlo I in Sicilia. La bella ciprigna è la dea Venere, così detta perché secondo il mito era nata dalle acque del mare intorno all'isola di Cipro. Tale concezione era necessaria per quadrare i calcoli della rotazione dei pianeti intorno alla Terra, che si immaginava immobile mentre ovviamente non è così. Venere è indicata ai vv. Come la stella / che il sol vagheggia or da coppa or da ciglio, cioè il pianeta che è corteggiato dal Sole alle sue spalle oppure di fronte, a seconda che Venere sia mattutino o vespertino. Il verso citato poi da Carlo Martello al v. 72 Carlo e Ridolfo sono, probabilmente, Carlo I d'Angiò e Rodolfo d'Asburgo, padre della moglie di Carlo Martello. Carlo parla al presente nonostante Roberto diventerà re solo nel 1309, quindi è probabile che il beato parli proprio dell'indole del fratello degenere rispetto ai suoi antenati.

IX canto

Cunizza smette di parlare e sembra rivolta a tutt'altro, tornando a danzare in cerchio come faceva prima, mentre lo spirito che ha indicato in precedenza appare a Dante come un rubino colpito dal sole. La città in cui nacque, Marsiglia, che subì un'orrenda strage ad opera di Bruto, ha quasi lo stesso tramonto di Bougie, in Algeria . 19 compenso vuol dire letteralmente «contrappeso», poiché Dante chiede a Cunizza di soddisfare il suo desiderio mettendo un contrappeso metaforico sulla bilancia del suo volere. 40 indica che l'anno secolare, il 1300, si ripeterà cinque volte, passeranno cioè cinque secoli prima che la fama di Folchetto svanisca. 82 indica il Mediterraneo, di cui Folchetto spiega che si estende da ovest a est per novanta gradi, così che il cerchio che a Cadice è il suo orizzonte orientale, a Gerusalemme diventa il suo meridiano. Folchetto allude all'interpretazione capziosa del diritto canonico per lucrare sulle indulgenze e simili provvedimenti.

XV canto

Apparizione dell'avo Cacciaguida, che saluta Dante. Cacciaguida si rivela, parlando dell'antica Firenze e della sua vita. Cacciaguida parla della sua partecipazione alla seconda crociata. Cacciaguida riprende poi a parlare e dice cose tanto profonde che Dante non può capirle, non perché egli voglia celarne il senso ma in quanto il concetto espresso va oltre le umane capacità dell'intelletto del poeta.Quando il beato torna a parlare in modo comprensibile a Dante, questi sente che l'avo benedice Dio per la grazia dimostrata al suo discendente, poi Cacciaguida si rivolge al poeta dicendogli che attendeva da lungo tempo il suo arrivo, preannunciatogli dalla mente divina, e ora che Beatrice lo ha condotto fin lì ciò gli procura immensa gioia. Al tempo di Cacciaguida Firenze era ancora circondata dalla vecchia cinta muraria, presso la quale si trova ancora la chiesa di Badia, ed era assai più sobria della città attuale. A quei tempi, conclude Cacciaguida, certe sfacciate donne fiorentine dei tempi di Dante avrebbero fatto stupire tutti, come oggi farebbero personaggi quali Cincinnato e Cornelia. Il beato rivela di essere nato in quella città, partorito dalla madre che nelle doglie invocava il nome di Maria, quindi battezzato nel Battistero di Firenze col nome di Cacciaguida.

XXII canto

Ancora nel VII Cielo di Saturno. Ascesa al Cielo delle Stelle Fisse e invocazione alla costellazione dei Gemelli. Dante, pieno di stupore per il grido degli spiriti contemplanti dopo le parole di Pier Damiani, si volge a Beatrice che gli parla come una madre che consola il figlio, ricordando al poeta che si trova in Cielo e che lì ogni cosa nasce da giusto zelo. A questo punto Beatrice invita Dante a rivolgere la sua attenzione agli altri spiriti che stanno per mostrarsi a lui. Il beato spiega che anche tutte le altre anime di questo Cielo furono in vita spiriti contemplanti e fra essi vi sono Macario e Romualdo, nonché i frati benedettini che sono stati fedeli al loro monastero durante la vita terrena. Ascesa al Cielo delle Stelle Fisse. Con un movimento velocissimo, al punto che il lettore metterebbe il dito nel fuoco e lo ritrarrebbe in un tempo maggiore, Dante si ritrova nel Cielo delle Stelle Fisse, al cospetto della costellazione dei Gemelli. Dante a questo punto scioglie un inno a quelle stelle cui deve tutto il suo ingegno poetico, poiché è nato sotto il loro segno ed è entrato nell'VIII Cielo trovandosi proprio nella loro regione celeste.

XXIII canto

Il trionfo di Cristo e la schiera di tutti i beati. Dante può sostenere il sorriso di Beatrice. Ascesa di Cristo e Maria all'Empireo. Dante deve in realtà aspettare poco tempo, poiché d'improvviso vede il Cielo rischiararsi sempre di più, mentre Beatrice annuncia l'arrivo delle schiere dei beati e di Cristo in trionfo. Beatrice gli spiega che tale visione supera ogni forza, poiché essa rappresenta Colui che con la sua morte riaprì la strada fra Cielo e Terra. Dante sente che la sua mente esce da se stessa, come il fulmine che esce dalla nube e scende in basso contro la sua natura, per cui non è in grado di riferire cosa essa fece in quel preciso momento. Beatrice esorta Dante a guardarla, poiché egli ha visto cose tanto alte che ormai è in grado di sostenere il suo sorriso. Dante vorrebbe descrivere la bellezza del sorriso di Beatrice, ma se anche le Muse lo aiutassero con tutta la loro arte non arriverebbe a raffigurare che una minima parte di ciò che vide, per cui il suo poema sacro deve necessariamente saltare alcune parti. Beatrice invita Dante a non fissare solamente il suo viso ma a rivolgere lo sguardo allo spettacolo del Cielo delle Stelle Fisse, che è come un giadino fiorito sotto i raggi di Cristo e in cui si trovano Maria, la rosa dove Cristo si fece uomo, e gli Apostoli, che con la loro predicazione misero l'umanità sul retto cammino. Cristo si è infatti innalzato per consentire a Dante di vedere tale spettacolo, poiché i suoi deboli occhi sarebbero stati abbagliati dal suo splendore. L'arcangelo dichiara di ardere d'amore per Maria, nel cui ventre nacque Gesù, e afferma che continuerà a girarle intorno finché la Vergine seguirà Cristo nell'Empireo, rendendo quel Cielo più bello di quanto non sia già. Cristo e Maria salgono all'Empireo. Il Primo Mobile, che avvolge con la sua sfera tutti i Cieli, è ancora molto distante da Dante e Beatrice, così il poeta non è in grado di seguire con lo sguardo Maria che sale verso l'alto coronata dall'arcangelo Gabriele, mentre segue suo figlio Cristo. Qui celebra il proprio trionfo sui beni mondani anche san Pietro, che ricevette da Cristo le chiavi del Paradiso e che ora condivide la felicità eterna coi beati del Vecchio e del Nuovo Testamento.

XXX canto

Scomparsa dei cori angelici e accresciuta bellezza di Beatrice. Il seggio di Arrigo VII di Lussemburgo. Quando sulla Terra è l'alba e a circa seimila miglia di distanza arde il sole di mezzogiorno, le stelle in cielo cominciano a farsi meno lucenti, man mano che procede l'aurora, fino a che scompare anche la stella più luminosa per il sopraggiungere del giorno. Egli ha descritto le bellezze di Beatrice dal giorno del loro primo incontro fino a questa visione, senza interruzioni, ma ora è costretto a rinunciare per la sua inadeguatezza di scrittore, come un artista che che è giunto al limite estremo delle sue possibilità. La luce di questa rosa celeste si riflette sulla superficie concava del Primo Mobile, che da essa trae il proprio movimento e la virtù che riverbera sugli altri Cieli, e così come un colle fiorito si specchia nell'acqua di un lago sottostante, allo stesso modo Dante vede le anime dei beati che si specchiano nella luce della rosa, disposte in più di mille gradini. Beatrice indica a Dante un seggio su cui è posta una corona e gli spiega che su di esso siederà, prima della morte del poeta stesso, l'anima di Arrigo VII di Lussemburgo, che sarà imperatore e verrà a raddrizzare l'Italia quando questa non sarà ancora pronta a riceverlo.

XXXI canto

Ancora nel X Cielo . Dante osserva stupito la rosa dei beati. Glorificazione di Maria Vergine. L'intera schiera dei beati, fra cui ci sono personaggi dell'Antico e del Nuovo Testamento, ha lo sguardo rivolto unicamente a Dio, la luce della Trinità che li appaga con il suo sfolgorio e che Dante si augura possa rivolgersi anche alle tempeste del mondo. Dante gli chiede dove sia Beatrice e il santo risponde che proprio la donna lo ha evocato dal suo seggio per guidare il poeta nell'ultima parte del viaggio, mentre lei è tornata ad occupare il suo seggio nel terzo gradino della rosa, a partire dall'alto. San Bernardo si rivolge a Dante e lo esorta a spingere il suo sguardo lungo la rosa, affinché il suo viaggio verso Dio giunga a compimento preparandosi all'alta visione della Sua mente. Il santo esorta nuovamente Dante a non tenere gli occhi rivolti in basso ma a guardare in alto, fino ai gradini più alti della rosa dei beati dove la Regina del Cielo siede sullo scanno più alto di tutti e verso la quale tutti i beati sono sudditi devoti.

XXXIII canto

Preghiera di san Bernardo alla Vergine e intercessione di Maria. San Bernardo si rivolge alla Vergine e la invoca come la più alta e la più umile di tutte le creature, colei che ha nobilitato la natura umana a tal punto che Dio non ha disdegnato di incarnarsi nell'umano. La grandezza della Vergine è tale che benevolmente concede ogni grazia, spesso addirittura prevenendone la richiesta, poiché in lei albergano la pietà, la magnificenza, la bontà. Dante, spiega Bernardo, è giunto all'Empireo dal profondo dell'Inferno e ha visto lo stato delle anime dopo la morte, quindi supplica Maria di concedergli la virtù sufficiente per figgere lo sguardo nella mente di Dio. Il santo le porge tutte le sue preghiere affinché gli venga concesso questo, che egli desidera per Dante più di quanto l'abbia mai bramato per sé, e chiede alla Vergine di dissipare ogni velo che offusca gli occhi mortali del poeta. Intercessione di Maria. Maria tiene il suo sguardo fisso in quello di san Bernardo, dimostrando così di accogliere la sua preghiera, poi lo rivolge alla luce di Dio, nella quale solo lei può addentrarsi con tanta chiarezza. Dante si avvicina al compimento di tutti i suoi desideri, cosicché consuma in sé tutto il proprio ardore, mentre Bernardo con un cenno e un sorriso lo esorta a guardare in alto.